Elaborato di Carlotta Falgari

Carlotta Falgari

Pandemia.

Un termine che abbiamo imparato a conoscere nel peggiore dei modi: sperimentandone gli effetti.

Pandemia sta a indicare, in greco antico, un fattore comune a tutto il popolo, una sorte bella o brutta che sia comune a tutti gli uomini, dal povero al benestante, dal senzatetto all’imprenditore. Proprio durante l’anno appena giunto a termine, abbiamo riscoperto il senso dell’unità, della fratellanza trascurata per troppo tempo da noi uomini.

Forti della nostra superiorità rispetto al passato, infatti, abbiamo sempre guardato alle pestilenze dei secoli scorsi con uno sguardo di sufficienza, senza capirne a pieno gli effetti distruttivi che queste malattie portarono alle società del tempo. Ad esempio, sebbene la spagnola abbia provocato un maggior numero di morti rispetto alla prima guerra mondiale, nessuno al giorno d’oggi sembra aver tratto una lezione da questo flagello che colpì l’umanità solo un secolo addietro.

Invece, oggi ci sembra di far parte di un terribile viaggio nel tempo.

La malattia si è avventata sugli uomini con la stessa aggressività di un tempo e, solo ora, riusciamo a capire la paura e l’incredulità che allora mise in ginocchio migliaia di famiglie. La consapevolezza di non sapere cosa succederà domani ci fa vivere una vita di sostanziale immobilismo e, nonostante cerchiamo sempre più di aggrapparci ai ricordi che un tempo ci facevano stare bene, ora pare che tutto sia andato perduto. Abbiamo l’impressione e il cattivo presagio che non vivremo mai più la normalità che un tempo, con ignoranza, consideravamo come scontata e dovuta.

Con la parvenza di recitare in una pellicola utopica, viviamo le nostre giornate come se il covid-19 non fosse mai esisito. Forse per il desiderio di tornare alla normalità, o forse per trasgredire le regole che ci hanno tanto oppressi; ogni qualvolta ci sia l’occasione usciamo dalle nostre abitazioni e inganniamo noi stessi facendo finta di non vedere quei negozi o ristoranti che un tempo, con le serrande sollevate, rappresentavano una sorta di punto di riferimento all’interno delle nostra città. Ed è proprio questo atteggiamento che fa sembrare la speranza così persa da non poter essere ritrovata. Sebbene sembri una contraddizione, questo pensiero è il frutto di mesi e mesi di sacrifici e sforzi che ora sembrano vanificati.

E quindi, cosa ci fa andare avanti? Cosa ci dà la forza di continuare a tenere duro?

A queste domande pare non ci sia una spiegazione; ma siamo consapevoli che, come successo mille altre volte, c’è sempre la luce dietro le nuvole e, nonostante questo ci sembri solo un brutto sogno, dentro di noi una piccola speranza ci fa credere che, una volta finito di pagarne le conseguenze, potremo ricominciare a vivere.

Potremo accorciare le distanze che ci hanno impedito di abbracciarci, potremo riscoprire di nuovo il contatto umano: uno dei più grandi bisogni da quando siamo in età infantile.

L’ostacolo più grande che ci blocca, però, non è la crisi economica che ci attanaglia; ma è la paura verso il futuro che ci attende.

Sebbene non confessiamo i nostri più grandi timori, abbiamo paura che un giorno, ascoltando il notiziario, ci giungerà all’orecchio voce che l’ennesima variante di Covid-19 si sarà diffusa nel mondo.

E allora, forse seduti al tavolo nell’atto di cenare con le nostre famiglie, all’improvviso ci passerà la fame e un senso di angoscia ci investirà inaspettatamente. Tutto d’un tratto ricorderemo quel lontano Marzo 2020 in cui siamo stati privati della nostra stessa libertà per preservare quella futura; ripenseremo a quando, dentro casa, litigavamo quotidianamente con i nostri familiari per il bisogno di aria e quel senso di vita di cui eravamo stati improvvisamente privati.

Ma allora, come ripenseremo a questi momenti?

Come potremo affrontare la paura di riaprire un capitolo, forse il più buio, della nostra vita?

D’un tratto ci passeranno davanti agli occhi le immagini degli ospedali colmi di pazienti, le camere mortuarie stracolme di salme e le code di camion immortalate nel trasportare le vittime di questa pandemia.

Ricorderemo la frase “Andrà tutto bene”, tanto gridata e sussurrata, ci metteremo una mano sul petto e sentiremo il nostro cuore battere. Quel cuore che ha continuato a battere sempre, anche quando volevamo arrenderci alle sfide che la vita ci ha posto davanti. Allora capiremo che non dobbiamo vivere solo per noi stessi, non dobbiamo aspettare che i problemi se ne vadano da soli come sono arrivati; ma dobbiamo vivere anche per quelle migliaia di persone che hanno condiviso il nostro stesso destino, ma che non ce l’hanno fatta.

Oggi più che mai dobbiamo ritrovare un senso alla nostra vita, dobbiamo trovare un sogno che ci faccia desiderare il domani ed essere testardi per raggiungerlo.

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