Elaborato di Haboula Pasante

Haboula Pasante

I raggi del sole passano dalle fessure della tapparella e la luce copre ormai il mio corpo.
Anche se mi da fastidio la luce che colpisce i miei occhi di prima mattina, adoro il calore sulla mia pelle.
Ogni mattina dopo colazione faccio qualche minuto di stretching, oggi non ho proprio voglio, ma ne ho bisogno anche perché ieri ho corso tanto e devo rilassare i muscoli.
Ancora un altro messaggio dal gruppo di teatro, questo è già forse il ventesimo: “Forza ragazzi e ragazze non mollate, continuate ad allenarvi, ce la faremo non abbattetevi, presto ritorneremo sul palco! ”
È ormai il secondo mese che siamo in casa, due mesi che non lavoro, due mesi che penso al mio futuro e due mesi che cerchiamo di vivere con quel poco denaro che ci rimane.
Da quando siamo migrati qui in Italia dalla Siria, mia mamma ha sempre lavorato come donna delle pulizie, puliva circa cinque case al giorno e a volte anche il bar dietro il nostro appartamento. La sera quando tornava a casa vedevo le sue mani tutte rovinate, i suoi occhi pieni di stanchezza e la sua schiena che le faceva male.
Durante gli anni ha cercato altri lavori ma siccome non conosceva benissimo la lingua, ovviamente nessuno la assumeva.
Per ben sei anni ha fatto questo maledetto lavoro, non avevamo nessuno che ci aiutava e nessuno che ci parlava perché non riuscivano a capire come riuscivamo a vivere con solo cinquanta o cento euro che mia mamma guadagnava da ogni pulizia… ma loro non sanno che c’era Dio che ci aiutava.
Da quando avevo otto anni il mio unico sogno era quello di diventare un’attrice, mio papà mi chiamò Sara, come quella meravigliosa attrice che gli piaceva molto, infatti quando vidi i suoi film, non mi innamorai solamente di come recitava ma anche di tutto il mondo cinematografico.
Da quel giorno promisi a me stessa di continuare a credere in questo sogno e di non mollare mai, qualsiasi cosa accada.
Quando in Siria scoppiò la guerra, non pensavo più al mio futuro, non pensavo più al mio sogno e ai miei obbiettivi, ma pensavo a sopravvivere.
A volte questa pandemia mondiale mi ricorda i giorni della guerra in Siria: persone che muoiono ogni giorno, ospedali affollati, famiglie in sofferenza per morte di parenti o per lo scenario a cui assistevano quotidianamente e i medici che facevano ore inconcepibili per riuscire ad assistere e salvare più persone possibili.
L’unica differenza è che in Siria i nostri nemici erano uomini armati e bombe che colpivano soprattutto la popolazione più povera mentre questa pandemia è una difficile “guerra” con un nemico estraneo e invisibile che colpisce chiunque, dai più ricchi ai più poveri, ormai ci troviamo sulla stessa barca.
Settimana scorsa io e la mia migliore amica egiziana Susy, abbiamo aderito a un’iniziativa di volontariato per consegnare cibo ai senza tetto della città di Milano. Vedere tutte quelle persone senza casa, senza un una piatto caldo per scaldarsi dal freddo, senza un materasso su cui dormire e soprattutto senza una famiglia, mi ha fatto pensare a quanto in realtà noi siamo così fortunati.
Certe volte in questi giorni mi viene da pensare al mio futuro e sinceramente ho la sensazione di non sapere da dove partire in questo momento di incertezza, ma in fin dei conti ho diciannove anni e quindi una vita ancora da sperimentare…

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